Le Favare sono il respiro dell’isola.
La Favara Grande, inerpicata sul lato sud di Montagna Grande, raggiunta da Rekhale “obbliga” il passeggiatore, prim’ancora di vedere la “grande bocca”, ad imbattersi nei Ghibbilè, piccoli coni vulcanici da cui esala più fievole e lento il fiato dell’isola.
E, come se ci trovassimo in una dimensione fantastica, per approdare alla Favara Grande dovremo attraversare il Passo del Vento.
Tra nomi che suonano come lingue antiche e lontane, passi montani che ricordano gesta epiche, soffioni vulcanici il cui nome “La Favara” ha un significato antico e, ormai, perduto, l’uomo che cammina, senza che nemmeno lo intenda, attraversa i secoli.
Il contadino o il pastore, un tempo, coprivano con sterpi, le bocche più grandi sicché potesse formarsi tanto vapore acqueo da fare defluire, attraverso canali scavati nella roccia, l’acqua che sarebbe servita ad abbeverare campi o animali.
É davanti la Favara Grande che avvertirete il respiro, quello che ampio sia aprirà davanti ai vostri occhi quando sotto di voi scorgerete l’inseguirsi di cespugli di capperi e filari di viti che si contenderanno il primato di una natura appena addomesticata e in fondo, oltre al promontorio che segna la visuale di Scauri, avrete l’orizzonte curvo del mare oltre al quale, nelle giornate di cielo terso, potrete intravedere il disegno delle coste tunisine.
E ora il camminatore lento dovrà sostare un attimo, per riprendere le forze e ascoltare la pancia di questa isola, che soffia vapore bollente.
Né troppo vicini né troppo lontani da quella bocca, mi raccomando.
Solo quel tanto che basta per lasciarsi convincere del fatto che Pantelleria è viva.
Foto di Giovanni Matta