Pantall’aria, distesa sul tetto del mio dammuso a piedi scalzi, guardo la punta delle dita perfettamente disposte a ore 10 meno 10.
Mi isolo dal caldo del cemento con un malconcio tappetino da yoga, mentre mi godo il riverbero del sole.
A coprire le palpebre una di quelle mascherine da viaggio che ti riparano dal sole “bandito”, per il resto sono molto poco vestita, d’altronde l’intorno è distante, dalla vista e dai pensieri.
Ad occhio nudo non mi si vede, ad occhio semi nuda non sono d’interesse, ad occhi socchiusi penso che non mi importa di quasi nulla.
Pantall’aria e mi godo il freschetto che si infila tra una volta (e un’altra volta ancora) mentre ascolto la musica sparata dentro le mie orecchie, nel frattempo scendo le scale a piedi nudi lisciando la pietra ruvida e vado a rinfrescarmi con una doccia veloce.
Stamani il mare era increspato, mi sono svegliata anche tardi e ho deciso che questa sarebbe stata la giornata perfetta per un Pantall’aria.
Panta, in greco, significa “tutto” e pertanto tra assonanze e consonanti ho deciso di mandare TUTTO all’aria: gli amici che mi aspettavano al mare, la colazione al bar, la spesa al supermercato e il libro sul comodino.
Il telefonino è modalità aereo e io sono in volo.
La frutta è in frigo e la connessione col mondo è abbandonata a sé stessa.
Ma io ho tutto il campo possibile e immaginabile.
Pantall’aria e come finisce si racconta.
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