Disastrose fatalità o disastrosi imbecilli.
Il dubbio permane.
Nell’incertezza io oggi non pubblicherò alcuna foto di Pantelleria che brucia.
Se di “gentaglia” si tratta, dare immagini di questo scempio sarebbe come regalargli un megafono, immortalare, con l’ennesimo scatto, il danno irreparabile che in nome di non so quale male NERO hanno inferto a questa splendida terra.
I media, giorno dopo giorno, ci trascinano dentro valanghe di notizie disastrose.
Rotoliamo insieme a loro.
É un mondo ammalato e la domanda resta sempre la medesima: si tratta di disastrose fatalità o di disastrosi imbecilli?
La verità è che ogni giorno, da un tempo che non conto più, è pena.
Non accade più “qualcosa”, accade tutto contemporaneamente in un vortice che risucchia.
Qualcuno ha imparato a scrollarsi il dolore di dosso, altri faticano ancora, qualcuno è rimasto incagliato, due anni fa, chissà dentro quale anfratto dal quale fa fatica ad uscire.
Ma quando è la terra a bruciare, il mio cuore sussulta come in pochissimi casi.
Direte voi che c’è di peggio.
Probabilmente, ma l’elenco è faticoso per me che dovrei scriverlo e dolente per chi dovesse leggere.
L’incendio della natura, non può lasciarci indifferenti.
Dentro un incendio, io penso, bruci tutto.
Ogni albero, pianta, cespuglio che arde è l’umanità al rogo.
È come perpetrare un danno ad un grembo materno.
È la linea temporale che si spezza.
È una perdita che sa di universale.
È vocazione al suicidio.
Mentre Pantelleria aspetta ancora i Canadair ettari di macchia continuano a bruciare.
E io, forse, mi sono data una risposta:
un simile disastro è imputabile, sempre e comunque, al delirio di una collettività barbara e imbecille.
Foto di Barbara Monteleone