Pantelleria, escursione a Cuddia Mida

Pantelleria, escursione a Cuddia Mida

4 luglio 2023

I miei piedi si conoscono da cinquantaquattro anni ma non sono mai andati d’accordo.
Credo sia la ragione per cui mi è più congeniale il mare della montagna.
Ho ritrovato, per un caso fortuito a Pantelleria Anna Maria Cusimano, una mia amica oggi guida ambientale dell’Ente Parco Nazionale di Pantelleria.
“Giovedì guido una escursione a Cuddia Mida, dai vieni”, mi ha detto prima che io potessi trovare una scusa che facesse vagamente appella alla verosimiglianza.
La verità è che mi è rimasto un solo legamento alla caviglia destra (ci sarà un motivo se dico di avere uno scarso equilibrio, ma la domanda è “nasce prima l’uovo o la gallina”) e poi negli ultimi anni ho fatto più ernie di quanto prima si facessero figli.
Ho risposto con un SÌ ma così assertivo che ho avuto paura di me stessa.

Il giorno deputato all’escursione, ho pensato a sessantasette scuse diverse per non andare.
Alle undici ero su internet per comprare tutti i paramenti per il gioco dell’hockey su ghiaccio mazza compresa, l’avrei usata come bastone da trekking, a mezzogiorno ho capito che prima di dodici giorni non avrei ricevuto neanche il casco. Ho pensato di acquistare un’armatura medievale ma poi ho pensato che avrei dovuto toglierla per il caldo e trascinarla come De Niro nel film MISSION.
Alle 13.00 viaggiavo a metà tra la resa incondizionata e la ribellione.
Ho finto con me stessa di avere la febbre ma alle 13.30 (l’escursione era alle 18.30) ero già vestita da perfetta escursionista e lo zaino era pronto.

Alle sei e mezza del pomeriggio ero a Sibà, luogo dell’appuntamento.
Lo confesso, arrivata lì la mia ansia si è quietata. Alla chetichella sono arrivati i compagni di escursione e Annamaria.
Parcheggiata l’auto a Sibà alta abbiamo intrapreso il nostro cammino in salita.
Annamaria ad un tratto si è voltata a guardarmi e mi ha chiesto: “Lo hai spezzato il fiato?”
Le ho risposto secca: “Vediamo cosa spezzo prima, se il fiato o una gamba”.
Da lì in poi è successo ciò che da troppo tempo avevo dimenticato, ho smesso di pensare e ho cominciato a misurare il passo dentro un sentiero stretto bordato da corbezzoli, lentischio, mirto, rosmarino.
Avevo anche scordato la strana magia che accade quando fai un’escursione assieme a gente che hai conosciuto l’attimo prima e dieci minuti dopo ci si ritrova a far chiacchiera come se ci conoscesse da sempre.
Sono stati quattrocento metri di dislivello ma il terreno accompagnava il passo, Annamaria, sosteneva le menti, indicava con calma cosa e dove soffermarsi con lo sguardo.
Tra meraviglia e stupore siamo arrivati alle prime fumarole, ciascuno a mettere la mano dentro quel calore che proviene da chissà dove.
Immersi nella sorpresa di chi, come me e, immagina di sentire il fiato di quest’isola verdissima.
Il lago è stranamente grigio perché coperto da una coltre di nubi.
Più in alto in mezzo alla nebbia la sagoma del Gelfiser e il mare di Punta Spadillo.
La sensazione, a metà tra l’incredulità umana e la scintilla divina, è stata quella di possedere l’isola con un solo sguardo.
La conca di Cuddia Mida con i suoi alberi lì, alti e eretti, intenti a sgomitare per “farsi” luce.
Giocano a chi cresce primo, a chi si fa più alto, a chi “regala” più ossigeno.
Giunti alla favara, un muro circolare in pietra e un tetto fatto di canne e sterpi siamo entrati uno a uno in silenzio come si fa in certi luoghi di culto.
All’uscita Anna ci attendeva, aveva apparecchiato su una roccia piatta aperta a noi come un vassoio.
Su questa una bottiglia di passito, mandorle e biscotti.
Abbiamo gustato tanta bontà in mezzo ad una quantità di beltà da annebbiare la vista (o forse è stato il passito).
La discesa, una parola dietro l’altra (come i passi) è stata troppo breve e il sole era già calato.

 
Tags
 
 
 

I commenti sono chiusi.