Pantelleria e l’Operazione Cavatappi

Pantelleria e l’Operazione Cavatappi

A Pantelleria dove vi è un ecomostro oggi c’è un MOSTRO.
È di ieri la notizia che, a fronte di scavi fatti nella centralissima via Roma del paese di Pantelleria, sia stata rinvenuto un ordigno della Seconda guerra mondiale inesploso.
La struttura, in via di demolizione, è tra le più brutte del paese (che non brilla per magnificenze architettoniche) e doveva essere una casa di riposo per anziani mai portata a termine.
Oggi, in luogo di questa dovrebbe “nascere” un asilo per l’infanzia.
E tutta questa storia si inscrive già dentro un cerchio che comincia al contrario: una specie di metafora alla Benjamin Button per cui dalla vecchiaia si passa all’orrore della morte (simboleggiata da quest’ordigno) fino a giungere alla rinascita.
Se si vuol vedere il bicchiere mezzo pieno questa volta sembra che potremmo aver trovato una buona chiave di lettura.

Ma io non voglio raccontarvi né della notizia nel dettaglio (quello lo stanno già facendo i quotidiani) né trovare parabole “consolatorie” a tutti i costi.
Vorrei provare a raccontarvi, in breve, la storia di Pantelleria durante il Secondo conflitto e, in modo particolare, negli ultimi mesi di questo.

Potete ben immaginare, data la sua posizione geografica, che importanza potesse avere l’isola da un punto di vista strategico e il Duce non ci mise molto a capirne il potenziale.
All’inizio del conflitto la cosiddetta “Gibilterra italiana” viene dotata dal suddetto di strade, postazioni antiaeree, hangar sotterranei, aerei, cannoni e dodicimila uomini di cui circa seicento tedeschi.
Ma siccome Pantelleria è “aspra e forte” (poca acqua, poco bestiame e difficoltà negli spostamenti) tutto questo fa sì che, benché l’isola sia contesa, questa nel tempo perda molte delle forze armate sia in termini di uomini (alla fine restano una settantina di tedeschi soltanto) che in termini di mezzi.

La vicenda ha del potenziale (non atomico, per fortuna) perché è ricca di punti oscuri e esagerazioni sia sul versante del fronte fascista che su quello degli “alleati”.
La Royal Navy battezza l’intera operazione come “Operazione Corkscrew” (operazione Cavatappi), di fatto occupato il territorio di Pantelleria si apre un varco diretto verso Gibilterra e il canale di Suez.
Inoltre, la struttura morfologica dell’isola ricorda molto quella della Normandia e, pertanto, viene deciso che espugnare questo territorio potrebbe essere una ottima palestra per il successivo sbarco su quelle coste.
Sarebbe, inoltre, un’ulteriore dimostrazione di potenza da parte degli inglesi che ambiscono a esibire muscoli e destrezza, sicché in un solo mese sganciano sull’intera isola una media di 230 quintali di esplosivo A PERSONA, su una popolazione (tra militari e abitanti) di circa ventiduemila persone.

Un mese di bombardamenti intensi e un’ultima settimana durante la quale gli inglesi, con magnanimità, lanciano sull’isola centinaia di volantini nei quali incitano popolazione e militari ad arrendersi, non tenendo conto che la maggior parte dei residenti era ormai nascosto nelle campagne al riparo dai centri abitati, che pochissimi fra questi avevano un buon grado di alfabetizzazione tale da intendere cosa recitava il lunghissimo bollettino di resa e che a nessuno di costoro era deputata una decisione che era unicamente nelle mani dei settanta fascisti di istanza sull’isola che non avevano alcuna voglia di consegnarsi a una resa e i cui hangar (arsenale incluso) rimasero pressocché intatti nonostante i massicci bombardamenti.

Gli inglesi decidono, nel frattempo, che l’attacco avverrà per mare con uno straordinario dispiegamento di forze navali e di fanteria e l’ausilio di una potente contraerea.
E’ evidente la sproporzione su ciò che il territorio avrebbe richiesto in termini di sforzi reali e quanto gli inglesi volessero invece dimostrare nel ruolo di Super Potenza.

La mattina del 3 giugno del ‘39 TRE navi di trasporto di mezzi anfibi, affiancato da uno spiegamento aereo che continua la sua incessante pioggia di bombe (nel frattempo sembra non essere arrivata alcuna comunicazione di resa o forse è arrivata e si è perduta oppure no o magari non si sa, nel merito vige una certa confusione) si avvicinano alle tre zone di approdo nella zona del Porto, denominate “spiaggia verde, bianca e rossa”.
Dopo mezzogiorno le operazioni di sbarco sono concluse e gli inglesi si trovano davanti ad un territorio deserto.
Qualcuno, forse, da qualche parte ha disegnato una croce bianca in segno di resa, qualcun altro ha issato una bandiera bianca mentre tra Pantelleria e Roma tra le 9 del mattino e le dodici vi è un fitto scambio di comunicazioni nelle quali si chiede il cessate il fuoco.
Ma sembra che chi preposto, nel frattempo, si sia sollazzato giocando al cruciverbone anziché leggere i cablogrammi sui quali era scritto, in tutta evidenza (non si saprà mai se la comunicazione fu data dall’ammiraglio Pavesi a comando delle operazioni sul campo o da Mussolini stesso) che popolazione e militari si dichiaravano “vinti”.
Il Generale Arnold chiosò: “Quello che avevamo distrutto era la volontà di combattere”.

L’attracco delle navi vide un territorio disabitato per chilometri, nebbia di contorno di contorno, cenere e pioggerellina grigia e astiosa.
Un solo morto tra gli inglesi, si narra sia stato ucciso dal calcio di un mulo.
THAT MULE HAVE MUST BEEN STUBBORN, penso io.

Durante tutte le operazioni di attacco sembra che i morti, tra militari e civili, siano stati 58.

Delle macerie del paese di Pantelleria resta il Paese di Pantelleria e i suoi sedici piani regolatori mai approvati.
Sembra così, così come sembra, che la storia si faccia un giorno dietro l’altro.

 
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