Il “Giardino Pantesco”, anche detto “lu Jardinu”.
Chi ha già visitato Pantelleria sa perfettamente di quale luogo magico io mi stia accingendo a parlare.
Chi, invece, ancora non ha fatto il fortunato incontro con questa sorprendente terra dovrà fare lo sforzo di farsi accompagnare da me dentro questo luogo incantato.
Immaginiamo pertanto di trovarci nei pressi di un Dammuso: i muri di pietra lavica, caldi e rocciosi, le piante grasse che spuntano dietro piccoli ulivi, il cappero che si impone prepotente e fende la pietra, il muro e il terreno più duro.
Le volte che rendono curvo l’accesso ad un cielo azzurrissimo e di fianco al vecchio “Sardone” (il magazzino dove un tempo si riponevano tutti gli attrezzi per la coltivazione o il pascolo) si intravede un muro circolare.
Piccola e incastonata, tra le pietre a mosaico, si scorge una porticina che è l’ingresso ad un mondo nel quale risiedono ad un tempo storia, memoria, sapienza, vita, quiete e bellezza.
E adesso entriamo piano, con garbo.
Come fossimo ospiti attesi e graditi e volessimo conoscere uno ad uno i personaggi che abitano questo spazio.
Abbiamo detto che il primo ospite a che ci viene incontro è la STORIA.
Racconta che il primo di questi giardini sembra risalga al 3.000 a.C..
Da allora in poi gli abitanti che, nei secoli, hanno scelto di vivere in questa isola ne hanno creati e custoditi a centinaia.
Forse sono il vero marchio distintivo di Pantelleria.
La STORIA spiega che questa struttura, spesso piccola ma imponente, è stata sempre il riparo dell’agrume di casa.
Racchiuso e protetto come cosa preziosa dal vento e dal sole.
Risorsa utile e necessaria nei secoli.
La MEMORIA si fa avanti e con garbo e ci ricorda che la tradizione del “giardino” nel tempo non è mai andata persa, non si è mai modificata.
E i motivi risiedono in una cultura che non vuole abbandonare certe tradizioni, perché il “giardino” custodisce l’ingegno degli isolani, la loro capacità di “resistere” e la loro volontà felicemente testarda di mantenere vivo un albero e ciò che esso rappresenta.
Si fa largo la SAPIENZA e ci presenta anche il suo amico INGEGNO e insieme cominciano a narrare, in termini semplici (non si mette mai in difficoltà un gentile ospite), com’è fatto “lu jardinu”: ha mura alte (anche quattro o cinque metri) e possenti fatte in pietra lavica, ha una struttura circolare e conica, più larga alla base va restringendosi man mano che si innalza.
Tutto questo serve per aiutare a far crescere l’albero e a proteggerlo: le mura lo difendono dal vento, il cono fa sì che la pianta non venga “inondata” di sole ma che di questo ne benefici solo la chioma, inoltre proprio l’inclinazione della cinta muraria fa sì che durante le ore del giorno, ma soprattutto di notte, le mura raccolgano condensa e rugiada che al mattino scivola fino al terreno consentendogli di abbeverarsi in maniera naturale.
Irrompe nella chiacchierata la VITA.
Briosa e forte della sua millenaria esperienza.
Ha la forma di un albero solitario, che spesso regala limoni più gialli del sole e succosi come se fossero stati intensamente annaffiati.
L’albero, racchiuso dentro la torre fatta di pietra, è l’immagine stessa della resistenza.
Attorno a questo cresce spontanea l’erba e si scorgono talvolta ciuffi di aromi e un odore che sembra venire da molto lontano.
In ultimo, sedute in disparte, fanno cenno di avvicinarci la QUIETE e la BELLEZZA.
Il “Giardino Pantesco” è il posto dove trovare pace durante una calda giornata, è il luogo adatto dove stendersi e godere di una buona lettura mentre il Maestrale la fa da padrone sull’isola, è il centro di un mondo dentro il quale depositare pensieri, meditare o raccogliersi in se stessi.
La BELLEZZA è rossa in volto e si schernisce, crede che il racconto degli amici che ha intorno sia stato esagerato,
Fa di tutto per farci credere che lei non sia tra i protagonisti di questa storia che altri, al suo posto, ci hanno raccontato.
È timida, talvolta, la BELLEZZA.
In special modo a Pantelleria.