Come più volte detto a Pantelleria la raccolta dell’acqua avviene in tre diversi modi: per erogazione da parte del comune (che dissala e rifornisce le case con allaccio esterno), raccolta di acqua piovana (se e quando piove), acquisto di autobotti che si recano fin nei posti più reconditi dell’isola e vendono l’acqua (naturalmente dissalata) a seconda del fabbisogno del Dammuso.
Tutto ciò ha sempre e comunque costi ben più elevati della media e fa sì che l’acqua (che di per sé è un bene prezioso) a Pantelleria lo sia ancora di più.
Da qui le mie ultra-raccomandazioni agli ospiti quando li accolgo nel Dammuso che sarà la loro “casa” nei giorni di permanenza sull’isola.
Il primo semestre che ho trascorso a Pantelleria ricordo che, sebbene io prendessi tutte le necessarie precauzioni per evitare sciupii, la cisterna era sempre mezza vuota.
Ovviamente, ho pagato il “dazio”.
“Claudia non sa fare docce veloci”.
“Claudia, sciupa un sacco di acqua mentre fa i piatti.
“Claudia, fa troppe docce”.
“Claudia mette troppe lavatrici”.
Mentre io, nella mia assoluta pazzia e nel tentativo di dimostrare che fossi parca, ero arrivata all’escamotage (che poi divenne farsa) di farmi la doccia vestita così da prendere due piccioni con una fava: pulizia personale lavaggio biancheria.
L’anno successivo, tornata a Pantelleria, notai che sebbene non avesse piovuto da tempo, proprio in prossimità della cisterna c’era una pianta di cappero che aveva il terreno sempre umido.
Come Eta Beta mi si accese la lampadina e pensai che avrei avuto la “ragione” da tempo attesa.
Pertanto chiamai il MITICO Maestro Rocco che mi confermò una perdita su quel versante della cisterna.
Vittoriosa mi sembrava che il problema fosse prossimo alla soluzione.
Ma Pantelleria è un luogo che ti insegna SEMPRE a non sprecare.
Per quanto si possa essere abituati alla vita di città LEI ti educa e vince.
Così il Maestro Rocco per prima cosa ha dovuto aprire il “granitico” tappo di cemento armato.
Aveva portato con sé una pompa di aspirazione e dei grandi contenitori nei quali travasare l’acqua rimasta nella cisterna, perché MAI andasse perduta.
Una volta svuotata questa, con tanto di caschetto e di luce (né più e né meno come uno speleologo) prima ha rimosso ciò che, nel tempo, si era depositato sul fondo della vasca, poi ha trovato la fessura dentro la quale il cappero si era infiltrato e altre piccole fenditure dalle quali possibilmente si disperdeva il prezioso liquido e ha richiuso le lesioni.
Ma il lavoro non era ancora terminato.
E io, nei giorni che sono serviti a far sì che il lavoro fosse fatto “come Dio comanda” (perché, altrimenti Rocco non sarebbe un Maestro), ho sperimentato la bellezza e la fatica della doccia col secchio.
Era maggio e faceva freschetto ma tutto questo mi faceva vivere una stupidissima emozione che mi induceva a sentirmi a metà tra un’eroina della vita selvaggia e una donna di altri tempi.
Quando Rocco è stato certo che la cisterna fosse ben asciutta e capace di contenere l’acqua, ha riversato il contenuto conservato nelle vasche al suo interno e io tronfia, sono andata a comprare quel che bastava perché la mia vasca fosse piena.
Infine ho misurato la capienza con le due canne allungate a periscopio e mi sono detta soddisfatta dell’impresa compiuta.
L’acqua, questa volta, è durata più di due mesi e nessuno ha osato dire che facessi sciupii da “cittadina maleducata” e io ho gongolato per tutta l’estate.
Ma voi sapete che per tenere le cisterne pulite prima vi si mettevano le anguille dentro?
Beh, questo ve lo racconto un’altra volta.
Foto di Giovanni Matta