Il calore della pietra lavica: un racconto di Pantelleria

Il calore della pietra lavica: un racconto di Pantelleria

Sdraiati seminudi sulla pietra lavica mentre il sole sta calando.
Solo le luci della piscina sono accese.
Il resto è già penombra.
Il Dammuso Kuka respira.
Allo stesso modo il nostro respirare si alterna mentre mi allungo tutto per avvertire, per intero, il calore che viene dalla calda pietra di Pantelleria.

Quando lei, improvvisamente, interrompe il silenzio e ad occhi chiusi mi parla: “Mi faresti un favore?”.
Penso che vorrà che le porti il suo calice di vino.
“Certo, – rispondo – dimmi”.
Anche se malvolentieri stavolta.
“Senza che tu prenda il cellulare, puoi fotografare il profumo che emana la siepe alle mie spalle?
Senza una matita, disegni quella porta attraversata dal mare e dal cielo?
Senza usare le parole, me la racconteresti questa luce bluastra?
Senza muovere un solo muscolo, potresti avvicinarti lentamente al mio viso e baciarmi come se mi vedessi per la prima volta?”.

Silenzio.
Io immobile.

“Mi hai ascoltata?”, chiedo dopo diversi minuti.
“Credo di sì”, risponde.
“Ma mi hai compresa?”.
“Ci sto lavorando”, le dico.

Mentre d’un tratto, su tutto il corpo passa una brezza leggera e lui risponde: “ Sto dipingendo il vento per te”.

 
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