Incontri di viaggio: il fascino di Pantelleria raccontato su un bus

Incontri di viaggio: il fascino di Pantelleria raccontato su un bus

Salgo sul bus che dalla città mi porta in aeroporto.
Siedo accanto ad una signora.
Un paio di sorrisi distratti giusto per rendere omaggio a quei venti chilometri che condivideremo spalla a spalla fino al luogo di destinazione.
Io sto tornando a Pantelleria e come sempre faccio “focus” sul momento in cui l’ATR mi lascerà sulla pista e io percorrerò quei dieci metri che mi separano da un ingresso che sembra la porta di Narnia.
Una specie di spartiacque tra due mondi completamente diversi fra loro.

Solo che devo essere una di quelle che fa venire voglia di parlare.
Solo che so di esserlo.
So anche che mi piace tantissimo ascoltare.
Così credo che la gente si presti perché coglie la mia disposizione d’animo.
E io non mi faccio mai pregare.
Tendo l’orecchio.
So sempre quando il racconto può diventare lente di ingrandimento.

Lei è di Brescia e lì sta per tornare.
Conosce bene Palermo perché ha tanti amici qui.
Mi chiede dove sto andando e fiera rispondo “A Pantelleria” e ogni volta che lo dico mi sembra di porgere uno scrigno magico appena aperto a chi ho davanti.

Ma questa volta è la signora che fa brusca retromarcia con la memoria.
Cosicché mi racconta che nel ’75 ebbe la fortuna di organizzare un viaggio (molto alla ventura) con degli amici palermitani alla volta della “nostra” isola.
Ricordi indimenticabili.
Avevano preso delle stanze in un albergo del paese ma la signora, prim’ancora di avere raggiunto la stanza assegnatale, aveva concluso con la signora delle pulizie un affare perfetto per la locazione di un Dammuso nella zona di Scauri.
Abitazione gigantesca, grande giardino, privacy per tutti gli ospiti, silenzio e relax.
Al primo giorno avevano già incontrato un pescatore e per il resto della settimana era stato mare e mare, barca e pesca e sale e pelle color carbone.
A sera tutti a cena a casa del pescatore con famiglia riunita e reti ammassate in un angolo della stanza da pranzo.
Reti da rammendare alla buona.
Raffia, sterpi o vecchia cordura.
Se non la punta dell’agave che sfilata nel modo giusto rappresenta un filo per cucito vegetale di straordinaria resistenza.

Così era andata la vacanza, in un tempo in cui io non sapevo cosa fosse Pantelleria.
Che è un tempo difficile da immaginare: poche macchine, pochi turisti, luce elettrica solo in paese e nei ristretti centri abitati, mulattiere e qualche asino ancora al lavoro.

Se ci penso mi sale una strana nostalgia.
Quella di chi avrebbe voluto amare prima e meglio.
Che si tratti di un luogo o una persona.

 
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