Vivere Pantelleria: la magia dei dammusi e il fascino della raccolta dell’acqua

Vivere Pantelleria: la magia dei dammusi e il fascino della raccolta dell’acqua

Chi arriva a Pantelleria non sempre conosce lo stile di vita di questa isola in tutte le sue sfaccettature.
Tra queste vi è la diffusione, la raccolta e l’utilizzo dell’acqua.
D’ altronde, ai nostri giorni (tranne che per i siciliani che con la scarsità di acqua hanno sempre dovuto fare i conti) per molti altri il concetto è difficile da cogliere in tutta la sua pienezza.

Pantelleria per la sua conformazione e per la peculiarità del suo circuito abitativo, costituito da piccolissimi aggregati urbani e da una miriade di Dammusi sparsi sull’intero territorio, non ha una rete idrica che copra l’intera isola.
Molti non sanno che l’acqua, in ogni caso proviene dai dissalatori, che sia diretta o meno.
Altri ancora non sanno che la pioggia è ancora tra le più poetiche e fortuite risorse idriche, ragion per cui ogni dammuso ha una sua cisterna.
O sarebbe meglio dire che ogni cisterna ha un suo Dammuso?

Spiego il perché di questo corto circuito di parole.
Ogni pietra, qualsiasi pendenza, l’inclinazione delle pareti esterne, i tetti a cupola e molto altro fanno sì che il Dammuso sia al servizio della raccolta dell’acqua piovana che convoglia nella cisterna.
Se non piove durante l’inverno le cisterne restano a secco e l’unica maniera per riempirle è acquistare l’acqua dissalata che autobotti trasportano nei luoghi più impervi di Pantelleria per colmare le cisterne.

Questa è in muratura e, quasi sempre, è perfettamente integrata nell’architettura dell’edificio o posta nelle vicinanze di questo, perfettamente mimetizzata sotto la terra.
Alcune fra queste diventano terrazze calpestabili, altre ancora “soggetti” a rilievo bianchi come i tetti.
Spesso a tutto fanno pensare tranne al fatto che lì dentro si celi il bene più prezioso dell’isola.
Diventano esse stesse elementi di arredo esterno.

Ovviamente l’acqua raccolta ha una durata a seconda del consumo che si fa.
I Dammusi più “all’avanguardia” sono dotati di un sistema di galleggianti che indicano quando questa è prossima a finire.
Ma nella maggior parte dei casi il compito del controllo del livello è deputato a chi abita la casa o a chi la manutiene che sonda la quantità dell’acqua ancora a disposizione.
E sapete, ancora oggi, come si rileva la quantità di acqua?
Aprendo la cisterna (dotata spesso di un pesantissimo bocchettone di apertura) e immergendo una canna, fin dove è bagnata lì è il limite dell’acqua.
Metodo antico, fuori dal nostro tempo ma di precisione.

La cisterna deve essere periodicamente pulita e bisogna controllare che una pianta di cappero o la radice di un albero non abbiano deciso di approvvigionarsi anche loro presso quella fonte.
Spesso solo l’occhio attento di un pantesco riesce ad accorgersi del silenzioso furto di acqua della vegetazione circostante.
La pianta può essere anche distante ma a rivelare il “ladrocinio” può essere anche soltanto una chiazza di umidità nel terreno che non si assorbe mai, neanche sotto il cocente sole pantesco.
Allora, si sa, il colpevole è nei pressi e verrà presto o tardi individuato.
Nel frattempo l’operaio specializzato si procura recipienti a sufficienza dentro i quali, attraverso l’utilizzo di una pompa, riverserà l’acqua della cisterna ( è un bene prezioso che non può essere sprecato).
Una volta che questa sarà svuotata, il “manutentore” si calerà, né più e né meno come uno speleologo, dentro un pertugio spesso davvero minuscolo.
Saranno corde a reggerlo o, se passa, anche una scala, la luce sull’elmetto e via di pazienza.
In prima istanza gli toccherà togliere dal fondo i residui che il tempo ha conservato, poi con perizia andrà alla ricerca delle lesioni che riparerà e che provvederà a impermeabilizzare.
Trascorsi un paio di giorni l’acqua potrà essere riversata e il motorino elettrico la porterà fin dentro l’abitazione.
Nel frattempo chi abita il Dammuso avrà sostituito il soffione della doccia con un meno pratico secchio ma non sarà venuto meno a nessuna delle sue pratiche di buona igiena quotidiane.

So che quanto ho scritto è lungo.
So che per alcuni sarà di nessuna importanza.
Ma io lo considero una testimonianza di come, dentro un mondo che dribbla oneri e fatica con l’ausilio di avanguardie tecnologiche, esista ancora un posto (nel nostro occidente estremo) in cui “raccogliere” l’acqua sia un lavoro gestito come in un passato che “profuma” tanto di “presente”.

 
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