Dai muretti a secco ai Dammusi: l’arte di lavorare la pietra a Pantelleria

Dai muretti a secco ai Dammusi: l’arte di lavorare la pietra a Pantelleria

Per anni ho cercato qualcuno che sapesse raccontarmi come si fa “la faccia alle pietre” a Pantelleria.
“Fare la faccia alle pietre”, in buona sostanza, significa estrarre i massi e lavorarli affinché questi possano diventare muretti a secco o ricoprano le facciate dei bellissimi Dammusi.
Un giorno per caso ho scoperto che Mastro Rocco (Rocco Modica, un SUPER CAPO) che (nelle mie estati pantesche incontro quasi ogni giorno) fa da sempre questo durissimo e affascinante mestiere.
Ho chiesto se poteva raccontarmi in cosa consiste e me lo ha spiegato con occhi lucenti.
Con lo stesso amore e con altrettanta passione cercherò di raccontarvelo.

Ci sono luoghi a Pantelleria, come Bugeber, in cui c’è molto tufo e poca pietra.
Oppure può capitare, che si acquisti un terreno edificabile in cui la pietra scarseggia.
In casi come questi ti tocca acquistare la pietra.
I massi e questi devono avere una peculiarità: se nella contrada in cui edificherai, la roccia ha delle “nuance” specifiche dovrai necessariamente acquistare blocchi di quel caratteristico colore.
Questo per non rovinare la “mimesi” naturale del paesaggio.

Sull’isola ci sono luoghi deputati per l’estrazione dei blocchi.
E’ necessario un escavatore (strumento di lavoro è arrivato solo attorno ai primi anni ottanta) per trovare la roccia, così grazie ad una sorta di leva detta “pico” la si rompe e la si estrae.
Come avviene tutto questo? Con la sola forza delle braccia.
Una volta prelevata la si può trasportare sul luogo della lavorazione.
Lì con un’accetta, la “martiddrina”, la pietra viene “pulita” e squadrata.
Immaginate cosa possa significare estrarre, scolpire, dare forma alla pietra lavica solo grazie alla forza delle proprie spalle e delle proprie braccia.
E’ solo lavorazione manuale: forza, abilità, occhio e maestria.

Esistono due tipi di lavorazione dei massi: quella a “pietra squadrata”, generalmente quadrata o rettangolare o quella con “pietre a mosaico” che rimandano ad una lavorazione più antica, laddove la costruzione ricorda “fantasiosamente” la creazione di una specie di puzzle.
Un puzzle con tessere da dieci chili a salire.
Se si lavora ad un muretto a secco bisogna che i massi vengano posati creando una pendenza che segua l’inclinazione del terreno sicché la pioggia possa scorrere seguendo il verso della collina, del terrazzamento o della strada.
Come si fa tutto questo?
Esperienza, intuito e fatica.

Immaginate anche che in passato le cisterne si scavavano a mano, le pietre venivano rotte con le mazze e tutto il materiale veniva trasportato con gli asini.

Adesso facciamo tutti un esercizio di immaginazione: pensiamo alle pietre che stanno ben in alto sui dammusi, a quelle che sovrastano le alte porte di ingresso e che sono grandi, rettangolari, grosse, pesanti più di cento chili?
Questi grossi massi venivano (ma tutt’ora non è troppo diverso) issati da un primitivo sistema di carrucole e dalla sola forza degli uomini.
Una volta che la pietra viene posta sarà sempre il “mastro” che con la sua martellina la collocherà in maniera perfetta.
Come?
Con le mani, le braccia e uno straordinario occhio alla linea e al particolare.

Bene, il mio “lavoro” finisce qui e spero di essere stata sufficientemente chiara.
Mi auguro di avere soddisfatto la vostra curiosità.
Io sono grata a tutti i “Mastri” (MAESTRI) dell’isola per il miracoloso lavoro che compiono.
In particolar modo a Mastro Rocco, senza il quale non avrei mai saputo niente di tutto questo


 
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