Sono arrivato a Pantelleria e al Dammuso Oleandro grazie al caso e per colpa di un dolore.
OLEANDRO, “Oh Leandro!”, sussurravo disperato la mattina che ho digitato il suo nome per l’ennesima volta su un motore di ricerca.
La O e la L, sulla tastiera, sono una sotto e una sopra, devo averle pigiate in contemporanea, ed inavvertitamente ho dato l’avvio ad una ricerca che mi ha portato fino a qui.
Ci sono luoghi che sono medicina, Leandro, e se fossi qui te ne darei un sorso della mia. Sono cura palpabile perché ti regalano il sonno e la veglia a ritmi regolari e il cibo al momento del bisogno, l’ombra nelle ore più calde di questa estate e il sole, mentre in bilico su uno scoglio faccio penzolare un piede nell’acqua.
Se fossi qui, Leandro, ti porgerei l’acino d’uva più succoso e riparerei le candele da ogni alito di vento, farei il cervo al gioco dei mimi per sentirti ridere e il verso della tortora per stupirti.
Se il caso ti porta in certi luoghi è solo perché il caso non esiste, ma fa di tutto per esserci.
Se non mi fossi imbattuto nella parafrasi del tuo nome avrei dovuto rinunciare a questo luogo e se non mi fossi arreso alla tua assenza avrei rinunciato a trascrivere il tuo nome.
Tutto ha sede e ragione, gli inglesi dicono “everything comes a full circle”, mio caro.
Oleandro.
Quando da due errori, la tua fuga da me e le mie dita incerte sulla tastiera, può nascere una parvenza di risultato: il mio equilibrio perfetto su quest’isola.
Foto di Giovanni Matta