Io credo che l’immaginazione sia l’abbeveratoio dei VIVI.
Anche se ciò che immagini può essere dolente o carico di punti interrogativi.
Chi si ferma a pensare o ad immaginare le “vite degli altri” ha più sorgenti, più affluenti naturali e più foci.
Dal mio Dammuso vedo la costa della Tunisia, Cape Bon per l’esattezza.
Non la vedo tutti i giorni, solo quando la foschia si dirada.
Solo allora, attraversando i 73 chilometri che mi separano da quella terra, il mio sguardo riesce a lambire quel grigio appena più intenso che mi fa appena intravedere delle alture.
Sono una curiosa delle “vite altrui” e delle “vite altrove” e non posso fare a meno, tutte le volte che sento quella terra più vicina, di pensare a cosa stia accadendo in quei luoghi, come la gente stia vivendo queste giornate di caldo e di incertezza, quanto loro possano somigliarci o essere differente da noi.
Cultura, religione, economia fanno della Tunisia un luogo distante dalla nostra terra le “ventimila leghe” del Capitan Nemo.
Eppure immaginare questi uomini e queste donne, al momento dentro uno spaccato politico di grande confusione e incertezza politica, è lo sforzo che faccio nei giorni in cui il cielo nostro si rischiara.
Li penso al buio, dentro un desolante coprifuoco che li costringe nelle loro abitazioni dalle sette di sera alle sei del mattino.
E benché apparentemente lontani per religione e cultura se chiudo gli occhi io, queste sorelle e questi fratelli, li vedo: seduti attorno ad una tavola, dentro la calca di un bus, che fanno un bagno solcando a passi lenti le spiagge bianche di Cape Bon.
Immagino financo i bambini che giocano con gli spruzzi di una fontana ed un mercato così ricco di colori e di spezie da fare invidia ai più brillanti colori dell’iride.
Cerco di vederli dentro la loro quotidianità, affacciata al “balcone di Pantelleria.
“E il naufragar m’è ATROCE in questo mare”.
Foto di Giovanni Matta