Percorso l’anello che somiglia in versione italo africana al “ring” irlandese di Pantelleria, al di là e al di qua c’è tutto un mondo da scoprire.
Dalle scogliere a strapiombo che ricordano quelle di Moher, al mare che è nuoto oppure snorkeling ma anche tuffi e sole e abbronzatura feroce o bisogno impellente di una cornice di ombra.
Allo stesso modo Pantelleria è anche le strade piccole e contorte del suo interno, quel dipanarsi a serpentina che tanto ti invoglia alla guida sportiva, quanto ti invita ad una saggia prudenza.
Il parallelo con l’Irlanda è immediato, quasi scontato, tranne per il paesaggio e la famigerata guida a destra, ma la larghezza delle strade è molto simile: vorrebbero apparire come percorribili su due carreggiate, ma si danno solo delle arie, la “capability” in molti tratti è per una sola auto.
Il resto è merce di scambio o, ancora meglio, è affidato alla cortesia di chi decide di sostare quell’attimo in più che consenta all’altro di passare far sì che, superata la strettoia, il campo sia libero per entrambi.
I panteschi hanno una guida veloce e scattante che se vivi sull’isola, dopo un po’, diventa anche la tua.
Succede però ad un tratto, soprattutto se vivi sull’isola per un tempo abbastanza lungo, che ti accorgi che questo correre e derapare tra tornanti e discese a picco, su strade che potrebbero essere ottime per un rally o una cronoscalata, è abbastanza inutile perché, di converso, qualsiasi sia l’impegno che ti attende in questo o quel luogo ha uno scorrere tutto suo.
Mi è capitato più volte, da Rekhale dove vivo, di dover andare in paese (per gli abitanti dell’isola l’unico paese, per definizione, è Pantelleria) per faccende di una certa urgenza.
Di fatto, le strade velocemente percorribili che da li ti portano alla cittadina sono due: l’anello esterno, che poi è la perimetrale, e quello interno.
Pertanto, nella concitazione del compito da assolvere, ti ritrovi ad affrontare tornanti a gomito e budelli di agnello come se fossi un pilota di formula uno.
Sorpassi a filo tra spuntoni di roccia ed impertinenti specchietti retrovisori.
Accade poi, però, che arrivata in paese tu entri nel negozio deputato al tuo acquisto e non importa quale sia la merce che ti spinge all’urgenza, da quel momento in poi il tuo tempo smette di dipendere da te.
Al di là del banco troverai un proprietario o un impiegato sempre disponibile e gentile nell’accogliere, ma da quel momento in poi sarai imbrigliato in una specie di slow motion che renderà assolutamente vana la tua corsa disperata, il tuo avere sventato due o tre frontali, il tuo avere calcolato la velocità di percorrenza “fratto il bisogno elevato al quadrato”.
In buona sostanza, per un certo tempo, è come se venissi risucchiato in un’altra dimensione la cui parabola è la lentezza.
E allora ti sorge spontanea una sola domanda: ma se i panteschi dietro il bancone di un esercizio commerciale sembra che abbiano perso la nozione del tempo (o piu’ verosimilmente ne hanno una che appartiene unicamente a loro) perché quando sono alla guida danno la sensazione di stare gareggiando per la 24 ore di Le Mans?
Foto di Giovanni Matta
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