Sono appena sveglia e mi son fatta la mia solita tazza extralarge di caffè e latte d’avena.
Così, scompigliata, distratta, sonnacchiosa esco fuori in terrazzo per vedere che tempo fa.
Mi guardo intorno e resto delusa.
Il cielo è di una specie di grigio impastato con un azzurro polvere che nasconde qualsiasi raggio di sole.
Affino la vista e scorgo a qualche metro da me il mio vicino di casa che non vedo da un anno.
“Ciao Alberto”, lo saluto.
Lui cappellone di paglia felpa e tutta e sul tetto dei suoi dammusi, come ogni anno intento a passare il bianco sulle volte.
Le dipinge così bianca che riverberano al sole.
Alza lo sguardo e mi saluta: “Come stai? Tutto a posto sull’isola?”.
Indicando il cielo mi rivolgo a lui dicendo:” È un’estate “sbagliata”, come certi Campari”:
Parliamo così, ad alta voce, ma con la naturalezza di due che stanno seduti l’uno di fronte all’altro.
Allorché lui comincia, mentre passa il suo rullo avanti e indietro senza neanche più guardarmi: “Lo sai com’è fatta, è imprevedibile. Non ti consente di fare un programma.
Vuoi andare al mare e ti costringe a fare un sentiero in montagna. Vuoi uscire in barca e ti porta sugli scogli. Vuoi dare il bianco ai tetti e regala un poco di ombra con lo spauracchio che venga giù un acquazzone”.
“Parli di Lei Alberto, di Pantelleria, vero?”, domando.
Mi guarda e mi fa cenno di sì con la testa.
“Allora anche tu sei abituato a parlarne come di un essere vivente con una sua volontà precisa e mutevole?”
Mi risponde: “È Pantelleria, Claudia, cos’altro devo aggiungere…”
Si rimette chino a lavorare.
Dal nostro lontano così vicino, lo saluto agitando entrambe le mani. E rientro.
Col grigio che impazza ancora dentro i miei occhi.