Ho cercato questa isola da solo.
Ho scelto Pantelleria perché potesse fare da sfondo ai miei pensieri.
Ho affittato il Dammuso Aloe perché il suo nome mi è sembrato “cicatrizzante”.
Sono uno di quelli che ha deciso di scrivere per parlare il meno possibile.
Capita che non sia tu a scegliere un mestiere ma che sia lui a scegliere te: per inclinazioni, per doti, per difetti o per eccessi.
C’è chi scrivere per non dimenticare io lo faccio perché una voltato vuotato il sacco torna tutto nel suo quieto oblio, smorzo le sensazioni, narro i fatti e li affetto come fossero fette di lacerto passate alla lama sottile e affilata della porcellana.
Sono venuto al Dammuso Aloe perché ha ampi spazi e ho pensato di dovere allargare le vedute.
D’altronde se uno scrive non può farlo se non attraverso una visione grandangolare.
Ma Aloe mi ha fregato.
Vedete questa finestrella?
Il primo giorno che sono entrato in cucina per prepararmi un pasto leggero ho smesso di mescolare il riso (rimasto ad affumicare il fondo di una pentola) e ho cominciato a guardare da questo “oblò”.
Come se da quel rettangolo i miei pensieri fluissero con facilità.
Sarà la luce o il mare, oppure la distesa di fieno innanzi ai miei occhi.
So solo che mentre sono al tavolo davanti ad un PC silente a un tratto vengo preso da una specie di urgenza.
Mi affretto come se il flusso avesse un tempo determinato e allora poggio le mani sulle piastrelle blu della cucina e guardo fuori, oltre quel “rettangolo magico”.
E se è vero che talvolta è il mestiere che ti sceglie, sarà anche probabile che questo Dammuso, fra i tanti, mi abbia acciuffato.
Che mi abbia afferrato per la collottola e mi abbia portato qui a forza, davanti ad un paesaggio che pacificato e carico mi consente di tornare al foglio A4.
Una parola alla volta, come se lentamente raccogliessi capperi.
Foto di Giovanni Matta