Il letto, l’amaca, la balata e il marmo.
Una porta sempre aperta a far passare vento e mare insieme ai petali viola di una bouganvillea che non sa tacere.
Tettoia e cuscini, la siepe che rompe lo sguardo alla montagna.
Un forno a legna che arde per una pizza in serata.
E poi il cannizzo, la tavola, il libro e la palma e una foglia di fico e quella del suo compare d’india.
Mi manca il tratto per disegnarli o il mio occhio più vergine per immaginarli senza averli mai visti.
Ma ho fatto un bagno dentro quella piscina che sfiora insieme pelle, mare e cielo e mica potevo diventare sirena, ma, di certo, ho cominciato a cantare.
Dal rubinetto ho raccolto, in un secchio invecchiato e lento, quel tanto di acqua per immergervi i piedi. Quel tanto che sarebbe bastato per lasciare la traccia del cammino dalla terrazza alla ducchena e guardare le impronte asciugarsi mentre, morbida, mi sarei addormentata.