Il tempo oggi non è dei migliori, ma il mare di Cala Nikà non è lontano da casa. Camminare, qui, è una cura. Prendo poche cose in fretta, prima che qualcosa mi faccia cambiare idea. Devo andare.
La salita mette il cuore in gola, ma non è la fatica. È quella strana allegria che arriva quando stai facendo qualcosa che ti assomiglia. La discesa è veloce, quasi inevitabile. Già da lontano vedo la costa, vuota, bellissima. Nessuno in giro. Solo io, e il mio scoglio.
E mentre cammino, ripenso a quella frase sentita giorni fa:
“Mi raccomando, quando vai via lascia la chiave sulla nicchia, tanto qui non tocca niente nessuno.”
Ho pensato subito a mio nonno. A quando parlava con nostalgia del tempo in cui si dormiva con le porte aperte. Io quella nostalgia non l’ho mai capita. Fino a ora. Fino a questo momento in cui mi accingo a lasciare una chiave su una pietra, fidandomi.
Non è solo un gesto: è un modo di vivere.
Pantelleria mi ha insegnato che la libertà non è sempre un grido, a volte è silenzio. È dimenticare di chiudere a chiave la porta e non avere fretta di tornare a farlo. È lasciare le chiavi dell’auto appese al cruscotto mentre fai la spesa. È non dover sorvegliare tutto, neanche se stessi.
Raggiungo lo scoglio. Mi spoglio, anche di quello che non si vede.
A testa in giù, mi tuffo nel blu. E rido, dentro. Ho mantenuto la promessa.
Riemergo. Porto indietro i capelli. Respiro.
Pantelleria ha aperto la porta della mia prigione, anche se solo per quindici giorni.
Ora ho lasciato la chiave dove mi è stato detto. Non a un secondino, ma a un uomo che sa cos’è la libertà.
Quando tornerò in città, richiuderò un cancello dietro l’altro. Ma questa isola continuerà a esistere, con o senza di me.
E oggi, 25 aprile, è il giorno della mia Liberazione.