Il giorno che arriverete per la prima volta a Pantelleria insieme allo “stupor mundi” generale ad attendervi ci saranno tante piccole sorprese, figlie di un’isola che ha deciso stipulare un patto di mutualità con la natura e i suoi capricci, piuttosto che opporvisi con ostinazione.
La prima di queste sorprese per me sono stati gli ulivi nani.
Tutto, su questo pezzetto di terra, è stato realizzato col fine di sfruttare al meglio acqua e umidità.
Pantelleria, benché verdissima, non ha molta acqua e il verde che la riveste talvolta è frutto dell’umano ingegno più spesso di una natura che ci insegna cosa sono resistenza e vitalità.
L’ulivo pantesco, basso come un cespuglio, ha un tronco che si erge da terra di appena un metro e i suoi rami con le sue foglie verde e argento si estendono parallele al terreno, talvolta sfiorandolo o poggiandovisi sopra con la grazia che solo alle piante si addice.
Tutto ciò è il frutto di un ingegnoso lavoro di potatura che fa sì che non solo l’albero stia un po’ rannicchiato al riparo dai forti venti, ma soprattutto serve a fare in modo che sotto questa piccola creatura la notte si formi quel poco di umidità che possa trasformarsi in rugiada (non brina, come puntualizza mio fratello) ed infine in acqua ad inumidire un terreno assetato.
Al contempo questa forma consente all’albero di proteggere se stesso dai parassiti.
Pantelleria e il suo mondo, dal dammuso alle piccole viti della Serraglia, lavorano ad assecondare il ruolo della natura, ma nel frattempo chi ha abitato questa isola nei secoli ha anche trovato il modo per dare vita ad un sodalizio, fatto di ingegno, di pazienza e molta molta cura.
Foto di Giovanni Matta