Le prime parole che mi ha detto sono state queste: “La gente a Pantelleria si “perde”. Non è abituata al silenzio, al buio, a guardare il cielo stellato senza avere tanta luce artificiale intorno”.
Avevamo appena iniziato a parlare che la Signora Elena, la proprietaria del vivaio di Rekhale, ha fatto questa riflessione.
Credo le sia venuta fuori così, dal nulla, esattamente come se stesse pensando ad alta voce.
Mi ha sorpresa, perché io il silenzio pantesco ho imparato ad ascoltarlo.
Ma tutto il resto è vero anche un poco per me.
Tanto buio riesce ancora a spaventarmi e allora se ho voglia di guardare le stelle lascio una luce dell’interno di casa accesa a farmi compagnia, ma non riesco ad immergermi nella notte stellata e nel suo nero profondo senza l’inutile assistenza della fioca luce di una lampadina.
La signora Elena, bisogna provare a raccontare prima un pizzico di lei e poi del posto nel quale è immersa e che ha “innaffiato” con litri di cura e dedizione per buona parte della sua vita, è minuta ma se la guardi con un poco di attenzione ti accorgi che dietro quel fisico esile si nascondono “mazzi e fascine” di coraggio e determinazione.
Non parla molto, ma quello che ha detto mi è bastato.
Dirò di più, in molti casi mi ha sorpreso.
Credo che scelga le parole come ha scelto le piante del suo vivaio.
Se dovessi fare una banale esemplificazione direi che l’apparente esilità della signora Elena è inversamente proporzionale alla maestosità del giardino che ha costruito attorno a sé.
Vengo a Pantelleria da tempo e “colpevole” sapevo dell’esistenza di questo vivaio nei pressi di casa mia; ma vuoi la pigrizia, vuoi che le cose più vicine (proprio perché vicine) sono quelle che, per questa loro caratteristica, talvolta trascuriamo, vuoi che questo mio tempo pantesco è fatto di giornate al chiuso mentre stendo chilometri di parole al pc e di altre, dal sapore convulso, nelle quali divoro chilometri in auto tra un dammuso e un altro.
Così, di fatto, soltanto qualche giorno fa mi sono determinata ad andare a visitare il vivaio.
A trovare parole io non faccio troppa fatica, ma questa volta ne sono a corto.
Sarà, senz’altro, colpa della mia incresciosa ignoranza in materia di botanica accompagnata dal fatto che io un vivaio così bello in vita mia non lo avevo mai visto.
Ecco, mai mi sarei stupita se avessi trovato file di serre e vasi opportunamente allineati ciascuno agganciato al proprio irrigatore, però quello che ho visto è stato ben altro.
Il giardino è vasto, colmo di piante il cui nome è entrato e uscito dalla mia testa nel momento stesso in cui Elena lo ha pronunciato, ma se i nomi talvolta sono astrusi la bellezza è accessibile a tutti.
E allora mentre seguivo Elena, lei sempre almeno cinque passi avanti a me, in mezzo a sentieri in pietra, piccoli cammini tortuosi, mentre spostavamo un ramo per farci largo tra la miriade di piante, alberi, arbusti e meraviglie, ho capito che si possono imparare milioni di cose anche senza dovere memorizzare un solo nome.
Basta custodire ancora in sé la capacità di stupirsi.
Io e Elena abbiamo chiacchierato durante la nostra passeggiata, ma erano frasi sparse, sembravano i sottotitoli di una “lectio magistralis” che nel frattempo ci stava impartendo Madre Natura.
Ho immaginato mio nipote Cesare, muoversi dentro quel giardino: lui che raccoglie semi e li trapianta in vasi per vedere cosa cresce. L’ho immaginato esaltarsi ad ogni angolo, sovraccaricare Elena delle sue impossibili domande da decenne insaziabile.
E quando ho visto tutto questo ho pensato che ogni bambino che arriva sull’isola dovrebbe vedere questo posto, che ogni adulto di Pantelleria dovrebbe conoscerlo, che ad ogni turista di passaggio bisognerebbe raccontarlo.
Bene, io ci sto provando, a raccontarvelo intendo.
E se passate da Rekhale ed è un orario “cristiano” e il cancello è aperto provate ad entrare.
Dal nulla la vedrete spuntare, la signora Elena.
Spunta da qualche anfratto come se l’aveste chiamata, lei e i suoi occhi brillanti e impavidi.
Il resto, tutto il resto si presenterà da solo e senza troppi convenevoli.