Non so per quale oscura ragione io mi sia convinta che, vivendo su un’isola ventosa e di modeste dimensioni come Pantelleria, io sarei diventata la Sig. ra Rosa dei Venti (pregasi notare la “d” minuscola che fa anche molto titolo nobiliare).
In prima istanza ho pensato di fare un corso breve di refoli, venti, brezze, soffi e nodi (piani, scorsoi e savoia).
Poi ho pensato che la scienza sarebbe scesa su di me come un ampio manto e io, appena varcata la soglia di qualsiasi soglia, avrei immediatamente intuito il vento prevalente.
Nel frattempo mi sono allenata un poco anche con il linguaggio, per esempio: “tira brezza di”, “sta girando a” e via discorrendo. Ovviamente tra vento che”tira” o “gira” la cosa più interessante sarebbe stato conoscere o informare cosa muove l’aria.
Ma quello, ho pensato, che sarebbe arrivato con un briciolo di tempo ed esperienza sul campo.
Ad un tratto ho intuito che sarebbe stato necessario che io studiassi.
Che il gergo, sì, poteva sostenermi ma solo fino ad un certo punto.
Allo stesso modo della fuffa o della postura o dello sguardo intenSo che scruta l’orizzonte come in attesa di una ispirazione.
Il dito LECCATO, e levato in alto, in epoca Covid non avrebbe fatto FINO.
Pertanto ho preso mappe e libri e ho cominciato a studiare il movimento dei venti prevalenti su Pantelleria.
Ho acquistato carte topografiche, goniometri, righelli e squadrette e poi barometri, galletti segnavento e persino un’APP che consuma i tre quarti dei giga del mio cellulare.
Più un portacolori Smemoranda.
Finalmente, adesso, tutte le volte che i miei ospiti “venuti da lontano” mi chiedono che vento aleggi sull’isola, con estrema consapevolezza e onestà intellettuale, IO, senza che un’ombra di incertezza o vergogna increspi la mia fronte, continuo a rispondere: “Scirocmaestralente”.
Biascicandolo.
Foto di Giovanni Matta