Ho capito quest’anno che non si fa indigestione di luoghi.
L’ho capito perché vedo i nostri ospiti tornare.
Sembra che di Pantelleria qualcuno non sia mai sazio.
Poi, in effetti, mi domando perché si dovrebbe essere “pieni” di un luogo se ciascuno di noi non lo è mai di certe pietanze, come di un buon vino, così come di certi panorami che non smettono mai di annoiarci.
Così accade per alcune città, io tornerei mille volte a Chicago, a Parigi, a Barcellona.
Non è l’ampiezza che fa la grandezza di un luogo.
È ampio ciò che ci consente di respirare al ritmo giusto.
Pantelleria regola il mio respiro, lo rende quadrato, mi consente di scoprire ogni anno cose nuove: cammino su sentieri sconosciuti, apro varchi con vista sul mare che nemmeno sapevo esistessero, mi fa venire voglia di cominciare a fare diving, mi ha fatto rimettere gli scarponi da montagna per il piacere di scalare una vetta e scendere piano pianino sino a valle muovendomi tra archeologia e vapori che esalano come se tutto questo fosse terra VIVA.
La sorpresa è grande per chi poggia il piede su questo suolo per la prima volta.
Perché è scoperta infinita.
È aprire gli occhi davanti ad una immensità che ha una dimensione piccola ma che ci fa sentire giganti nel momento della fatica e piccoli davanti ad una natura dirompente.
Non ci si annoia mai di una verità compiuta o di certa meraviglia divina.
Banalmente come davanti ad un piatto di pasta alla norma ben cucinato.
O come alla vista di un figlio che cresce.
Certe cose sono e restano meraviglia, come non fossero mai arrivate.
Come non fossero mai tornate.