Sto leggendo un libro di Bill Bryson, il titolo è “Notizie da un grande paese”.
Bryson è tra i miei autori preferiti ma non ero mai incappata in questo suo scritto prima di qualche giorno fa quando (vedi caso) mi trovavo a costretta a perdere tempo all’aeroporto per prendere il volo verso Pantelleria.
In questi casi si tira furori l’idea e il concetto di “serendipity”, nella fattispecie io credo che si tratti di pura casualità.
In questo momento, ne sono certa, vi starete chiedendo dove stia il nesso e perché vi stia “intortando” questo pomposo cappello.
La risposta arriva immediata: Bill Bryson è uno scrittore americano di chiara fama che, nato e cresciuto negli USA, li ha poi abbandonati per venti anni per ritornarvi soltanto alla fine degli anni novanta con tutta la sua famiglia.
Tornato in America (fine anni ‘90), un suo caro amico editore gli chiede di tenere una rubrica settimanale nella quale raccontare di questo ritorno, i cambiamenti e le sorprese annesse, le differenze tra vecchio e nuovo continente and “so on…”
Il libro, benché datato, offre spunti interessanti e la scrittura di Bryson è entusiasmante.
Ma la mia non è la recensione di un libro, anche se mi piacerebbe che tutti voi lo leggeste, chi ama l’America e chi non l’ama affatto.
La cosa che mi ha sorpreso è il fatto che da tre anni anche io sto cercando di riportare “Notizie da una piccola isola”.
Al contrario di Bryson io non sono nata a Pantelleria, pertanto non si tratta di un ritorno ma di un approdo. Ma la funzione del raccontare un luogo, con quel pacato distacco che regala una “separazione” più o meno lunga, è di per sé narrativa, dà l’occasione di essere messi davanti a fatti vecchi, nuovi o inaspettati e, allo stesso tempo, ci costringe a rapportarci ad essi con metro e occhi nuovi.
Si tratta di “raccontare” luoghi attraverso “metope” o “bassorilievi narrativi” che ne possano spiegare l’essenza vivendoli come si stesse, esattamente, un piede dentro e un piede fuori la scena ritratta.
Poi tutte le storie sono affreschi, metafore, parole dentro le quali è possibile ritrovarsi o dalle quali distaccarsi perché non incarnano ciò che siamo o sappiamo.
Il tentativo di narrare un luogo va fatto ma con una consapevolezza molto “quantistico new age” (e qui mi scappa un po’ da ridere): è lo spettatore a modificare e determinare la realtà.
So che dopo questo post mi sono giocata metà della mia credibilità.
Ma, perdonate, il mio cervello ogni tanto si fa prendere la mano e, nel frattempo, capita che io non faccia centro.
Foto di Claudia Picciotto