Chi di voi ricorda la canzone di Roberto Vecchioni , “La mia ragazza”, la cui ultima strofa fa proprio così:
“la mia ragazza è il mio mestiere”.
Ecco, ho rubato la frase al Maestro perché somiglia molto al concetto che vorrei esprimere.
E se vorrete ascoltare questo brano provate ad immaginare che al posto di questa ragazza ci sia l’isola di cui adesso sto narrando.
O cantando.
Siate voi a decidere.
Pantelleria è il mio mestiere: lo è da lontano e lo è quando ci vivo dentro. Non sopra, dentro.
Da lontano la ricordo e la immagino per raccontarvela.
Da vicino ve la narro “dentro” tutte quelle giornate, che da maggio ad ottobre si inseguono in un divenire costante.
Come se questo periodo fosse un continuo, lì dove anche le notti, quelle fatte di vento che soffia o di gatti che passeggiano sul cannizzo, fossero l’altra faccia del racconto o della veglia.
Pantelleria è il mio mestiere: perché come la ragazza della canzone è “Amore come il vento, amore divertente che corri sui pensieri della gente”.
Dalle carezze ai ceffoni del Maestrale, dal tuffo dallo scoglio più alto al mio rovinoso cadere tra cespugli di timo e lavanda, dalla stanchezza di certi weekend trascorsi d’un fiato tra calorosi benvenuti e addii che conservano lacrime, fino a tutti i giorni del mio inverno spesi a ricordarla, in ogni suo dettaglio per il piacere di cantarvela.
Pantelleria è il mio mestiere perché tiene le fila dei miei giorni, uno di seguito all’altro, scanditi unicamente dal momento in cui vi farò ritorno.
Per questo, e molto altro ancora, Pantelleria è il mio mestiere.
Foto di Giovanni Matta