È il mio ricordo di fine stagione:
quando il sabato e la domenica voi siete al mare o in gita in campagna, quello è il turno nostro.
Schegge impazzite dentro una Pantelleria morbida che fa da cuscinetto ai saluti di andata e ritorno.
Dopo una settimana durante la quale abbiamo incasellato arrivi e partenze, riparato lampadine fulminate, cambiato bombole del gas ad improbabili orari, incontrato ospiti amici e aver fatto chiacchiera e “già che sei qui ti chiedo se riesci ad accendere la tv satellitare” e “per favore mi cambi la sdraio che mio marito si è seduto a corpo morto e l’ha distrutta”.
Insomma dopo una settimana in cui il lavoro è fatto di pc, improbabili interventi e programmazione.
Giornate ti regali bagno al mare al posto del pranzo, ma non puoi andare dietro l’isola che lì il telefono non prende e allora scegli il mare che ti “è concesso” e poi torni di fretta perché c’è da lavorare, ma quel bagno è stato tra i più belli della stagione (dici a te stesso) mentre percorri la strada che ti riporta davanti al tuo pc.
Estensione e prolungamento del braccio, dei tuoi pensieri e delle tue preoccupazioni.
Così poi arrivano il sabato e la domenica.
Ed è il momento in cui bisogna salutare chi parte e accogliere chi arriva.
Ciascuno di noi ha le sue scadenze che gli aerei ignorano.
E se nella tua scaletta hai previsto un arrivo per le dieci che si sposta alle undici sovrapponendosi a un saluto o ad un altro arrivo, hai due possibilità: rompere le scatole ai tuoi compagni di lavoro (che probabilmente sono nelle tue stesse condizioni e già lo sai perché conosci il loro “piano di lavoro”) o decidi di fare i salti mortali per riuscire a fare l’uno e l’altro nel miglior modo possibile.
Giornate interminabili, fatte di attese, di scambi, di telefonate coi clienti che talvolta restano “sospesi” in aeroporto, di abbracci con promesse di ritorno “e questo inverno ci sentiamo, però, vero?” e “certo che ci sentiamo, ti scrivo, se posso vengo a trovarti e aspetto una tua telefonata”, tutto questo mentre vai via.
e volti le spalle a chi è diventato “amico”, per qualche strana alchimia.
È con questo stato d’animo che vai incontro ad un nuovo ospite che non conosci, ma riconoscerai immediatamente, nell’istante in cui le nostre auto si accosteranno e ne usciremo tutti sudati e festanti, loro perché sono giunti alla meta e noi perché alla meta siamo vicini.
Non è sempre un lavoro comodo il nostro.
Non posso neanche dire che sia scomodo.
Esiste una unica verità, ineluttabile come il pervicace cappero che si arrampica sulla roccia, la fende e la vince, io amo questo lavoro.
Amo Pantelleria, questo viavai di storie e persone, i saluti da un’auto all’altra, il latte e caffè che mi attende già pronto al tavolo non appena la mia auto passa, la gente che, in un solo istante, passa da lontana a vicina, la quiete di certe sere e quel cielo che di stelle ne ha quasi troppe.