Pantelleria e il suo ulivo “chino”

Pantelleria e il suo ulivo “chino”

La raccolta dell’uva a Pantelleria terminata da tempo.
Ormai la vendemmia è breve.
Settemila ettari di raccolta vent’anni fa circa 700 oggi.
I numeri parlano chiaro.
Il lavoro è duro: l’albero è piccolo, incastonato su un terreno scosceso, bisogna accovacciarsi sopra la pianta e raccogliere i grappoli nascosti tra il fogliame e infine riporre tutto in un fusto che pesa sulla schiena, mentre ne trattieni anche due lungo la strada che ti separa dalla vigna al camion in attesa.
E sì che Pantelleria è costosa da questo punto di vista.
Lo è per chi vuol viverci e restarci.

È passato anche il tempo della raccolta delle olive.
Al lavoratore pantesco non serve una lunga scala sulla quale arrampicarsi per raccogliere i frutti.
L’ulivo pantesco è cespuglioso, al più ti toccherà stenderti sulla terra per arrivare alle olive più nascoste.
O chinarti, come chiede sempre il suolo pantesco.
In ginocchio come raccolto in preghiera.
Alberi addomesticati, agricoltura “domata” al servizio dell’uomo e a tutela di una pianta che altrimenti sarebbe morta o infertile.
Ho visto ulivi dal diametro di sette/otto metri.
Cattedrali in piano.

Al contrario della modernità che costruisce in altezza, qui alla natura è stato dato uno spazio in orizzontale per proteggersi e per proteggere il raccolto di chi coltiva e vive.
Un tempo gli ulivi avevano una estensione molto più ampia di quanto non sia oggi perché si procedeva alla propagazione della pianta per talea: un ramo gemmato veniva tagliato e posto accanto alla pianta madre.
E’ così che l’albero si propagava senza alcuna vertigine se non quella di una bellezza diversa e inusuale.

Da questi alberi viene fuori un olio profumato e dolce.
Sa di sapienza e passione.
Il suo sapore somiglia al suo albero: saggio, carezzevole e padre dei suoi frutti.

Foto di Claudia Picciotto

 
Tags
 
 
 

I commenti sono chiusi.