Sapessi raccontarvela davvero questa isola non mi servirebbero le parole.
Se potessi spiegarvi Pantelleria con un gesto o con uno sbattere di ciglia sarebbe tutto più semplice e più vero.
Perché Pantelleria è una mano a dita aperte che passa tra i capelli in una giornata di vento.
È un sapore, tra lingua e palato, di quelli sottili ma amabili che ti resta in bocca fino a fine giornata.
Pantelleria è il sale sulla pelle di in una giornata che passa dal caldo al freddo e mentre il brivido diventa uno strano miscuglio di sensazioni senti il calore sul viso e ti “vesti” di una crema che sa di sole e calura.
È il tempo che rallenta fino quasi a fermarsi.
Pantelleria è il gesto di una mano che si solleva ad ogni passante che incontri.
È due chiacchiere al bar con persone che mai hai visto e che nemmeno rivedrai: due chiacchiere attente, preziose, cariche di tutto quello che l’inverno ci toglie e che l’estate ci regala.
Pantelleria è una fiamma che non si estingue: è il rincorrere dei giorni fino al momento della partenza.
È una mano tesa a bloccare il momento.
Uno sguardo da vicino o da lontano verso una terra aspra e delicata al contempo.
È quel non volere dire basta ad un incontro che si ripete.
Pantelleria è andata e ritorno dentro un flusso continuo.
È due bracciate che diventano sei, otto, dieci.
È il nero delle rocce che cuoce sotto il sole, il bianco dei dammusi che riposa tra i fichi d’India.
È il cappero che prude dentro la bocca e il passito che alliscia il palato.
Pantelleria è questo strano guazzabuglio di parole.
È il disordine che nasce dalle emozioni.
È tutto questo.
Ma tanto tanto altro.
