Se la lentezza ha un suo valore questo riesce ad esprimerlo un’amaca come un acino di uva.
Le due cose insieme fanno la perfezione.
Il Passito di Pantelleria viene definito “vino da meditazione”, non fosse altro che per produrlo, il tempo la fa da padrone.
Il grappolo può essere abbandonato, nella sua lunga maturazione, a ciondolare aggrappato alla madre vite. Fermo lì in attesa che l’acino appassisca, perda i suoi liquidi perché il contenuto zuccherino possa avere il sopravvento.
L’attesa è la misura di un vino che deve essere dolce, allo stesso modo i grappoli possono essere raccolti e distesi, a seconda del risultato che si vuole, in un interno secco o umido. Ma devono sostare, fermi per un tempo che non prevede alcuna fretta.
È la saggezza del dolce. Quel tempo di meditazione che fa di un vino passito il risultato di un passato garantito, coperto, protetto. E non è un caso se è di Pantelleria uno dei passiti migliori d’Italia, perché a certi territori appartiene quello slow motion che rende tutto più vicino alla necessità di un tempo che non strappa o percuote.
Torno indietro e con molta lentezza ripropongo una immagine e lo faccio attraverso le mie parole, cercando di rendere onore a quel tempo lasco, pertanto adesso vi invito ad immaginarvi in una terrazza di un dammuso con piante di aloe e palme nane, tra un pilastro ed un altro dell’ombroso cannizzo è legata l’amaca, anche lei lenta distante da qualsiasi tensione, avete con voi un libro in una mano e nell’altra un calice con due dita di passito e sono le sette di sera. Trovate stabilità nella vostra amaca e fate in modo che il vino non venga sversato, sdraiatevi, e prendete il primo sorso del vostro dolce liquore, socchiudete gli occhi per il tempo che desiderate.
Riapriteli soltanto quando avrete deciso di aprire il vostro libro.
Foto di Vittorio Battellini