Storie piccole ed immaginarie.
Una o più di una per ogni Dammuso.
Un modo diverso per raccontare Pantelleria.
Oggi ve ne racconto una sul Dammuso ZIGHIDI.
Ha un nome che sembra quello di una zanzara.
Invece è il nome di una tribù’ dello Yemen.
Mentre poggio la glacette col vino, sul tavolo della terrazza coperta, lei riposa solitaria sull’amaca.
Se è al tramonto che volge lo sguardo, forse, starà pensando che la sua giornata è da annoverare tra le migliori.
Se orienta lo sguardo al verde e ai tetti dei Dammusi, io credo che qualcosa sia andata davvero storta.
Faccio questi pensieri mentre torno in cucina per prendere le posate ed il piatto di portata sul quale ho lasciato un sarago sfilettato a marinare con olio, limone, prezzemolo e qualche cappero.
Non ci rivolgiamo la parola da qualche ora.
Da quando in barca le ho bruscamente sottratto il timone.
Lo scirocco ha confuso noi e le acque.
Ho tentato di comunicare con lei in ogni modo, ma risponde con parsimonia e rivolge lo sguardo altrove.
Questa casa mi consola dalla paura che mi ingenera la nostra ormai patologica incapacità di comunicare.
Ormai provo a indovinare cosa pensi.
Ho scelto questa casa perché mi aspetto che le sue pareti colorate, i profumi che giungono dall’ attorno, la luce che si spalma nei posti giusti, le finestrelle di cielo e l’ombra riparatrice curino noi e i nostri silenzi.
A questo sto pensando, mentre la vedo scendere, completamente nuda, gli scalini che portano alla piscina.
E forse questa sera sarà d’incanto.
Foto di Giovanni Matta