Da una testimonianza reale.
“Ho un personale rapporto con gli scogli, difficile e contorto. Perché il mare delle rocce ha un gusto tutto suo. Sono troppe le ragioni che mi inducono a preferire il tuffo da uno spuntone muschiato, piuttosto che una lunga passeggiata su un fondale di sabbia nel suo lento degradare.
Intanto, l’azzurro cangiante dei fondali rocciosi è proprio mare, di quelli che ti pare di stare su una barca; ti tuffi e devi avere subito il coraggio di affrontare la temperatura dell’acqua, raramente ti e’ data la possibilità di assuefarti lentamente e la sensazione è sempre intensa; una volta andati via dal mare, raramente dovrai togliere granello per granello la sabbia che ti si è finemente incastonata tra le dita dei piedi o nelle intercapedini tra costume e glutei; se hai maschera e boccaglio, in ultimo, sei una persona felice, ma davvero, perché ci sara’ sempre una insenatura, una baietta, come se le infilassero apposta una dietro l’altra, da scoprire, alla ricerca della successiva, che è sempre la più bella.
Ma, c’è sempre un ma.
Io ho visto gente camminare sugli scogli con le infradito, scomodissime e pericolose anche quando le uso in casa, li ho visti muoversi leggeri come stambecchi a piedi nudi, con zoccoli due misure più grandi, con calzature tacco 12 aggirarsi tra scivoli muschiosi e rupi a strapiombo.
Io, invece, per godere di un bagno tra i faraglioni devo, nell’ordine, portare con me almeno due tipi di calzature differenti: scarpe da tennis per arrivare all’approdo e ciabatte antiscivolo (possibilmente dotate di arpioni) per entrare e uscire dall’acqua, un abbigliamento anti abrasione per il percorso dalla strada fino al punto di ristoro (pantaloni lunghi e maglia maniche lunghe) e bastone da trekking per sfidare le rupi da dieci/quindici centimetri che incontro nel mio cammino.
Generalmente, benché dotata da attrezzature moderne da scalatore in libera, la gran parte del percorso l’affronto o carponi o di sedere, sudando come un’infame per l’abbigliamento semi invernale, imprecando ad ogni passo perché il terreno è scosceso e, dannazione, non ci sono appigli e, cavolo, la tuta mi si è impigliata ai rovi e, stracavoli, il suolo è a settemila gradi e poi sembrava più vicino e INSOMMA IO A MARE SUGLI SCOGLI NON CI VENGO PIÙ.
Appena arrivata alla simil piattaforma devo svestirmi, generalmente lo faccio da seduta, perché sfilare i pantaloni reggendosi su un solo piede, per me, è affare circense. Sento di non potermi fidare delle mie caviglie. Finalmente in costume, sudata che sembro appena uscita dal mare, devo sistemare il materassino e il telo su un suolo adeguato e da lì comincia uno studio geologico fatto di misurazione di pendenze, spazio per centimetro quadro, ampiezza e distanza che mi separa dal tanto bramato mare.
Indossate le scarpette anti sdrucciolo, stanca come se avessi attraversato la Valle della Morte, comincia la discesa verso il mare.
Maschera e tubo in mano, possibilmente ancorati in qualche modo al polso o al costume, procedo sempre gattonando o strisciando sulla roccia ardente, nel frattempo incespico su me stessa un paio di volte, tento due o tre scivoloni sugli scogli a pelo, infilo il piede in tre quattro buche, ondeggio come un pennone e, infine, mi tuffo.
Capirete bene che, dopo tutto questo sforzo, il resto del mio tempo lo trascorra in acqua.
Anche perché da lì in poi ho solo voglia di guardare i fondali, insinuarmi tra le rocce, scoprire baiette, adocchiare banchi di piccoli pesci, sfidare il mare aperto, perdermi tra le collinette sottomarine, osservare il movimento della posidonia a distanza, seguire con discrezione comitive di dentici.
Tutto questo anche per tre ore di filato.
Fuori dall’acqua, generalmente, ho perso la sensibilità a mani e piedi, ho un principio di ipotermia, le labbra viola e tremo.
Ma, a questo punto, mi siedo in pizzo allo scoglio più prossimo all’acqua, ho accanto a me un cestino pieno di pomodori, ad ogni morso li immergo in acqua e vi giuro, ve lo giuro, quello è uno dei momenti più belli della mia vita.
E, a fine giornata, a parte una lieve insolazione e qualche linea di febbre, sono sempre la donna più felice del mondo.
Foto di Valeria Fanciullo